Ogni città ha le sue fazioni, e
Milano non è certamente da meno. Inter o Milan? Mazzola o Rivera? L’elenco potrebbe essere lungo anche al di fuori del mondo del calcio, e se volete, possiamo divertirci ad aggiungere e a vedere dove arriviamo!
Oggi però vado a scomodare uno
dei simboli meneghini per eccellenza, il panettone, e quindi la butto lì: Motta
o Alemagna?
Sul panettone queste due famiglie
hanno diviso una città intera!
Sono rimasta affascinata da
questa dicotomia, perché sono storie di quelle che ormai non se ne sentono più,
e mentre scartabellavo mi sembrava di leggere un romanzo, di quelli che le
pagine hanno il profumo della carta d’altri tempi e bisogna fare attenzione a
non rovinarle.
Siamo agli inizi degli Anni
Venti, e le storie delle due famiglie scorrono parallele, quasi come se
andassero a braccetto dello stesso destino: da una parte Gioachino Alemagna,
che apre un laboratorio di pasticceria in via Paolo Sarpi, e dall’altra Angelo
Motta, che fa lo stesso in Via Chiusa. E’ 1919, in entrambi i casi.
Ad animare questi due
imprenditori lo stesso spirito pionieristico, ma con connotazioni profondamente
differenti: altrimenti che derby sarebbe?
Alemagna punta fin da subito
sulla qualità delle materie prime, e questo sarà poi il leitmotif di tutta la sua storia, nell’intento di creare un
prodotto ricercato, che sappia soddisfare anche i palati più esigenti. Motta
invece si caratterizza fin dall’inizio per lo spiccato spirito commerciale,
volto ad una produzione più vasta, più alla portata di tutti.
Eccola dunque la prima
caratterizzazione, di carattere prettamente sociale: il panettone da “cummenda” e quello popolare.
Quello che è certo è che da
sempre un rivale, se così possiamo chiamarlo, è il miglior stimolo a
migliorarsi, a fare quel qualcosa in più che altrimenti nemmeno ci si pensava.
Negli Anni Trenta, il centro di
Milano si accende di vetrine sempre più scintillanti, vetrine di negozi che
diventano veri e propri luoghi d’incontro, dove ritrovarsi magari la domenica.
E’ una lotta a colpi di slogan,
di innovazioni all’interno dei negozi e delle fabbriche (sì, perché nel
frattempo i due si ingrandiscono e i laboratori non bastano più), che neanche
la Seconda Guerra Mondiale riesce bloccare: è del 1949 l’inaugurazione
dell'ennesimo negozio Alemagna, con ben diciannove vetrine!
"Non c'è Natale, se non c'è
Motta"
"Si scrive Natale, si
pronuncia Alemagna"
Urlano le prime televisioni con
le loro voci un po’ gracchianti, e scommetto che c’è chi queste frasi se le
ricorda ancora adesso!
Ma quello che non poté la guerra,
poté la crisi: è del 1975 l’acquisizione dell’Alemagna da parte della Motta e
il successivo declino di entrambi i marchi, dovuta allo sbarco di nuove realtà
sul cosiddetto “mercato dei dolci da ricorrenza”.
Il cerchio si chiude in Svizzera
circa vent’anni dopo, quando una multinazionale si appropria di entrambi i marchi, e
con essi anche di parte della storia di una città.
Messa così parrebbe un racconto
malinconico, di quelli che lasciano un po’ l’amaro in bocca mentre si pensa ai
bei tempi andati, ma c’è una buona notizia: buon sangue non mente, e in questi
casi abbiamo le prove. Stavolta non si tratta di panettoni, ma di cioccolato; i
fratelli Alemagna, gli ultimi discendenti di Gioachino, hanno dato vita ad una
storia tutta nuova, con un nome che è un programma: T’a. Pare una dichiarazione
d’amore, messa così: forse perché ancora non ci sono notizie di fratelli Motta
alle prese con lo stesso business? Bisognerà indagare.
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