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Motta e Alemagna: i panettoni storici di Milano

DI: Cabiria Magni |10 dic 2014
Motta e Alemagna: i panettoni storici di Milano

Ogni città ha le sue fazioni, e Milano non è certamente da meno. Inter o Milan? Mazzola o Rivera? L’elenco potrebbe essere lungo anche al di fuori del mondo del calcio, e se volete, possiamo divertirci ad aggiungere e a vedere dove arriviamo!

Oggi però vado a scomodare uno dei simboli meneghini per eccellenza, il panettone, e quindi la butto lì: Motta o Alemagna?

Sul panettone queste due famiglie hanno diviso una città intera!

Sono rimasta affascinata da questa dicotomia, perché sono storie di quelle che ormai non se ne sentono più, e mentre scartabellavo mi sembrava di leggere un romanzo, di quelli che le pagine hanno il profumo della carta d’altri tempi e bisogna fare attenzione a non rovinarle.

Motta Milano

Siamo agli inizi degli Anni Venti, e le storie delle due famiglie scorrono parallele, quasi come se andassero a braccetto dello stesso destino: da una parte Gioachino Alemagna, che apre un laboratorio di pasticceria in via Paolo Sarpi, e dall’altra Angelo Motta, che fa lo stesso in Via Chiusa. E’ 1919, in entrambi i casi.

Ad animare questi due imprenditori lo stesso spirito pionieristico, ma con connotazioni profondamente differenti: altrimenti che derby sarebbe?

Alemagna punta fin da subito sulla qualità delle materie prime, e questo sarà poi il leitmotif di tutta la sua storia, nell’intento di creare un prodotto ricercato, che sappia soddisfare anche i palati più esigenti. Motta invece si caratterizza fin dall’inizio per lo spiccato spirito commerciale, volto ad una produzione più vasta, più alla portata di tutti.

Eccola dunque la prima caratterizzazione, di carattere prettamente sociale: il panettone da “cummenda” e quello popolare.

Quello che è certo è che da sempre un rivale, se così possiamo chiamarlo, è il miglior stimolo a migliorarsi, a fare quel qualcosa in più che altrimenti nemmeno ci si pensava.

Negli Anni Trenta, il centro di Milano si accende di vetrine sempre più scintillanti, vetrine di negozi che diventano veri e propri luoghi d’incontro, dove ritrovarsi magari la domenica.

E’ una lotta a colpi di slogan, di innovazioni all’interno dei negozi e delle fabbriche (sì, perché nel frattempo i due si ingrandiscono e i laboratori non bastano più), che neanche la Seconda Guerra Mondiale riesce bloccare: è del 1949 l’inaugurazione dell'ennesimo negozio Alemagna, con ben diciannove vetrine!

Alemagna Milano

"Non c'è Natale, se non c'è Motta"

"Si scrive Natale, si pronuncia Alemagna"

Urlano le prime televisioni con le loro voci un po’ gracchianti, e scommetto che c’è chi queste frasi se le ricorda ancora adesso!

Ma quello che non poté la guerra, poté la crisi: è del 1975 l’acquisizione dell’Alemagna da parte della Motta e il successivo declino di entrambi i marchi, dovuta allo sbarco di nuove realtà sul cosiddetto “mercato dei dolci da ricorrenza”.

Il cerchio si chiude in Svizzera circa vent’anni dopo, quando una multinazionale si appropria di entrambi i marchi, e con essi anche di parte della storia di una città.

Messa così parrebbe un racconto malinconico, di quelli che lasciano un po’ l’amaro in bocca mentre si pensa ai bei tempi andati, ma c’è una buona notizia: buon sangue non mente, e in questi casi abbiamo le prove. Stavolta non si tratta di panettoni, ma di cioccolato; i fratelli Alemagna, gli ultimi discendenti di Gioachino, hanno dato vita ad una storia tutta nuova, con un nome che è un programma: T’a. Pare una dichiarazione d’amore, messa così: forse perché ancora non ci sono notizie di fratelli Motta alle prese con lo stesso business? Bisognerà indagare.

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