Lo sanno tutti,
Milano è una città che offre infiniti stimoli a chiunque, da qualsiasi punto di vista; è ricca di spazi espositivi che stanno anche al di fuori di quello che è il classico circuito museale, spazi che a mio modo di vedere offrono una programmazione decisamente interessante e spesso poco “ordinaria”. Una di queste aree, una di quelle che mi piace frequentare, è il
PAC, il Padiglione d’Arte Contemporanea.
Il PAC inizia la sua attività nel 1979 con uno sguardo prevalentemente concentrato sul contemporaneo e che sconfina verso il futuro: è stato proprio questo suo lato pionieristico nella scelta delle esposizioni a farmelo scoprire. Nel
1993 viene completamente distrutto da un attentato di stampo mafioso, in un momento in cui i simboli della cultura in Italia sono letteralmente presi di mira (un esempio su tutti, gli Uffizi, a Firenze); nel 1996 viene ricostruito sulla base del progetto originario.
Sono stata al PAC per diverse mostre fotografiche e ogni volta ho potuto apprezzare la scelta dei nomi messi in cartellone perché a mio modo di vedere effettuata non in base al grado di notorietà, al clamore che potevano creare, ma per la forza del messaggio che si cela dietro le loro opere.
Entrati al PAC, a colpire fin dal primo istante è
l’assoluta neutralità dell’ambiente, quasi asettico, che rende questo spazio un perfetto contenitore silente, che ospita l’opera dell’artista lasciandole tutto il palcoscenico e mettendosi in platea insieme agli altri spettatori ad ascoltare quello che ha da dire.
Questo contrasto l’ho notato in maniera più accentuata quando sono stata all’
esposizione di Jeff Wall: al PAC è stata infatti organizzata la prima retrospettiva italiana di quest’artista canadese le cui foto sono tra le più alternative con le quali mi sia mai confrontata. Jeff Wall prepara lo scatto con minuziosità: studia la scena, organizza il set e sceglie gli attori; niente a che vedere col reportage, questa è un’altra poetica, dove il messaggio viene analizzato nei minimi particolari prima di essere veicolato.
Sono entrata al PAC e ho visto questo spazio vuoto e bianco, con enormi fotografie retroilluminate appese ai muri, dove si ritraevano scene di vita quotidiana, paesaggi e nature morte e sono rimasta subito colpita, io che in genere preferisco lo scatto rubato.
Ma il PAC non è solo mostre ed è proprio questo che fa la differenza, tutta la filosofia che ci sta dietro: il PAC promuove una serie di attività negli ambiti più diversi, allo scopo di rivolgersi a svariate tipologie di pubblico: eventi musicali, incontri, conferenze, letture e tutto ciò che possa coinvolgere lo spettatore in modo più interattivo, in modo da farlo sentire realmente partecipe e non semplice contenitore da riempire.
Un esempio può essere l’evento
Lovedesign, che in una delle scorse edizioni ha avuto luogo proprio al PAC, dove una serie di aziende hanno messo a disposizione i loro prodotti per la vendita il cui ricavato è stato devoluto a favore dell’AIRC: un buon modo per mettere l’arte al servizio delle persone. E un buon modo per portarsi a casa un pezzo d’autore.
Il PAC si trova in Via Palestro, vicino ai giardini pubblici Indro Montanelli e al Museo Civico di Storia Naturale; lì vicino segnalo anche la presenza del Centro Svizzero, sede tra gli altri del Centro Culturale Svizzero: altro posto da tenere d’occhio per le mostre in cartellone, ma anche per un aperitivo, che a conclusione di una giornata dedicata all’arte ci sta sempre bene!
PAC
Via Palestro 14, 20121 Milano
Website:
www.pacmilano.it