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Il calcio storico fiorentino, una tradizione tutta da vivere

DI: Alessandro Bertini |23 giu 2014
Il calcio storico fiorentino, una tradizione tutta da vivereDuro ma leale: il Calcio Storico Fiorentino si potrebbe racchiudere in questi due aggettivi. Anche se a guardarlo da fuori non si direbbe. La prima reazione dello spettatore che per la prima volta si avvicina a questa disciplina è di stupore e perplessità perché viene percepito l'agonismo estremo ma anche l'aspetto violento di una manifestazione che si fa fatica a inquadrare nell'ambito sportivo. Il calcio storico viene visto come una battaglia fino all'ultimo colpo ed il sangue e il sudore che scorrono sul corpo scolpito dei calcianti, spesso generano repulsione più che coinvolgimento. Calcio Storico Firenze Ma superata questa prima possente barriera non raramente accade che l'attenzione si sposti sulle tribune dove si accalcano i tifosi delle varie fazioni: sono quattro, tanti quanti i quartieri rappresentati. Gli Azzurri di Santa Croce, i Bianchi di Santo Spirito, i Verdi di San Giovanni e i Rossi di Santa Maria Novella. Senti le urla, le discussioni veementi, gli incitamenti e gli sfottò, e ti accorgi che il calcio in costume (altro nome insieme al calcio in livrea con cui è noto il calcio storico ) non è solo uno scontro cruento. E' l'anima del fiorentino che ritorna dal passato per rivivere per un giorno, per i 50 minuti della partita. Le regole sul campo valgono meno del codice non scritto, ci sei solo tu e l'avversario, tu contro l'ignoto per misurar te stesso e testare se davvero sei in grado di superare ogni ostacolo, anche quello più forte e minaccioso. E capisci come mai in passato si sono cimentati nel calcio storico fiorentino anche personaggi illustri come Cosimo de' Medici I granduca di Toscana, Vincenzo Gonzaga duca di Mantova o addirittura due papi (Clemente VII e Leone XI ad esempio, entrambi della famiglia de' Medici). calcio fiorentino Il calcio storico fiorentino è tornato a dare spettacolo in piazza Santa Croce, opportunamente coperta da un manto di rena e trasformata in campo da gioco, nel 1930, in occasione del 400° anniversario dell'Assedio a Firenze. Ancora oggi quella viene ricordata con orgoglio come la partita che dimostrò l'essenza dello spirito indomito del fiorentino: nonostante la città fosse stremata dall'assedio dell'imperatore Carlo V, chiamato dal Papa Clemente VI per imporre il ritorno della Signoria dei Medici a Firenze, i fiorentini decisero di svolgere ugualmente la partita, per dare una prova di forza e prendersi gioco degli assedianti. Dal 1930, con sospensioni più o meno lunghe dovute di solito a episodi sopra le righe se non a veri pestaggi avvenuti sul campo, il torneo si ripete ogni anno con l'estrazione, nel santo giorno della Pasqua poco prima dello Scoppio del Carro, degli accoppiamenti delle squadre che dovranno giocare le semifinali. La finale avviene nel pomeriggio della festività del santo patrono della città, il 24 giugno, San Giovanni (e lo stesso giorno si festeggia anche a Bari!). Al quartiere vincitore spetta una vitella di razza chianina e soprattutto la soddisfazione del trionfo. calcio firenze In quella giornata le tribune in ferro montate nelle settimane precedenti (le semifinali vengono giocate 7 giorni prima della finalissima) sono stracolme fino all'inverosimile e ogni finestra e terrazzo delle case che si affacciano su piazza di Santa Croce è gremita da fiorentini e curiosi dotati di fotocamera. L'occhio più attento è vigile però è sempre quello di Dante Alighieri, fermo e fiero ai piedi della Basilica, pronto ad ammonire i suoi concittadini e fustigarli a dovere... storico fiorentino Così scriveva nella metà del XVII secolo il poeta fiorentino Vincenzo da Filicaja in un sonetto dedicato al Serenissimo Sig. Principe di Toscana sopra il giuoco del Calcio: "Questa, eccelso Signor, ch'arder qui vedi Nobil pugna, in sì fredda aspra Stagione Tal chiude in sè di guerra arte e ragione, Che, malgrado del ver, guerra la credi". Finita la battaglia, però, finisce tutto e i contendenti che prima si guardavano in cagnesco, si abbracciano e… “ci si vo bene come prima”.
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